Arcilla.

Arcilla

Post n°44 pubblicato il 01 Marzo 2009 da viajera67

Arcilla.

Me gustaría tener una arcilla para plasmar tu cara entre mis manos, como cuando rompiste mis palabras preguntando la razón de mi llegada. Me quedé inmóvil, no pude cruzar tu mirada. El silencio se hizo eterno. Buena pregunta: ¿Por qué estaba allí? Para tocar tu cara, para sentirla entre mis manos. Quería cerrar los ojos y acercarme a ti, pero no te moviste; e yo tampoco.

Un silencio de tumba. Podía escuchar el latido de tu corazón y los pasos de un transeúnte por la calle. Te habías alejado de mí, ¿no soportabas mi presencia? ¿O te estabas acercando e yo, sin mirarte, no me daba cuenta? Qué podía decirte, mi presencia era tu respuesta. Otra no tenía. Me imaginaba tu cara frente a la mía, aunque siguiera mirando por otro lado.

El humo del cigarro inundaba el aire, el único movimiento mecánico capaz de acercarme y alejarme a ti. Un cenicero entre nosotras. ¿Quién lo iba a quitar? Mis manos pasaban desde mi boca hasta tu cuerpo pero, aún así, no podía mirarte. Las palabras bloqueaban mis labios.

Vi unas esculturas en tu cuarto, te retrataban con unos años menos, quería tocar tu cara, estaba yéndome, me esperaba un avión. De repente me levanté, no soportaba tanto silencio. “Es tarde” te dije, “tengo que irme”. Entonces cogiste mi cara entre tus manos y empezaste a acariciarme. Lo hiciste con mucha naturalidad, e yo casi me desmayo.

“¿Dónde vas?” me preguntaste. “A dar un paseo, necesito aire”. “¿Te estás agobiando?”. “No es esto, tengo que irme en todo caso”.“Me gustaría regalarte una escultura, hacerla con mis manos, quien sabe si el tiempo borrará las huellas de tu rostro. Cierra los ojos, necesito tocarte”.

Desperté con el cuerpo mojado, las manos, sobre todo. Estaba recordando tu rostro, llevaba meses si verte. Cogí la arcilla y empecé a moldearte. Pasaban las horas y deseaba verte. De repente apareciste. Más linda que nunca subías la escalera de mi casa. Dejé la escultura y busqué tu rostro en mi alma.

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Bankok.

Bankok

Post n°45 pubblicato il 01 Marzo 2009 da viajera67

BANKOK.

Finì di scrivere il suo ultimo articolo e tirò un sospiro di sollievo. Adesso, finalmente, poteva andare in vacanza. Spense il compiuter e si accese una sigaretta. L’ultima, si disse, del suo ultimo giorno di lavoro. Respirò forte. Il fumo inondò il suo ufficio. Dove vado adesso? Si chiese. E con chi? Manolo le aveva proposto di andare con lui a Bankok. Ma lei non voleva viaggiare con Manolo in Medio Oriente. Avrebbe voluto un viaggio differente, una vita differente. Poteva andare all’aereoporto e salire sul primo aereo. Sola. Voleva viaggiare sola. Si ritrovò nella sua macchina e si accese un’altra sigaretta. Non so proprio dove andare, pensò. Andiamo a mettere benzina, che qualche idea mi salterà fuori.

La stazione di servizio era deserta. Era quasi notte. Il servizio era automatico, scese dalla macchina e vide da lontano una ragazza che le si avvicinava. Pensò le chiedesse dei soldi. Non voleva parlare con nessuno. “Va verso Parigi?”. Lei si bloccò. “Parigi??” E si ricordò di Parigi. Lei, a Parigi, quando aveva ancora vent’anni. Lei, con la voglia di viaggiare e di conoscere il mondo. Era senza soldi, allora, ma amava Parigi.

E ci vai in autostop?” “Si. Io viaggio sempre in autostop”. In autostop? Questa é proprio matta da legare. “Perché vai a Parigi?”. “Vado lì a trovare degli amici. Li ho conosciuti in Polonia quest’estate. Volevo chiedeti se ci andavi anche tu”. “Guarda io non so neppure dove andare. Ma se devi andare a Parigi ti accompagno. Salta su, che partiamo per Parigi. ”.

II.  Le due donne si incontrarono l’anno successivo a Bankok. Questa volta, però, Manolo non c’era. Bankok di qua, Bankok di là… Manolo l’aveva stressata tutto l’inverno parlandole di Bankok. E tu, dove sei stata? A Parigi. Parigi, Parigi, città trita e ritrita. Già. Cosa poteva saperne lui di Parigi…

Pensava a questo quando prese il volo per Bankok. Vado a Bankok. Voglio sentire il profumo del suo corpo dentro le lenzuola di Bankok. Si accese una sigaretta e respirò profondamente. “Parla inglese?”, le chiese una coppia americana. “Si”. “Noi siamo stati in America Latina, in Giappone e in Amazzonia. Adesso andiamo a Bankok, anche Lei?” Ma lei già pensava alle lenzuola di Bankok. Al profumo del suo corpo dentro le lenzuola di Bankok. “E’ una giornalista?” “Si”. “Ci avrei giurato. Io sono uno scrittore di libri gialli. Le vorrei regalare un mio libro, spero le piaccia. Vorrei una critica feroce fatta da una donna intelligente”. Aveva solo voglia di amarla sotto le lenzuola di Bankok…

Lei l’attendeva all’aereoporto. Le si congelò lo stomaco. La baciò. “Morivo dalla voglia di te”, le disse. I due coniugi americani la guardarono con orrore. Come avevano potuto non accorgersi di aver viaggiato con una pervertita? Eppure sembrava una donna colta, intelligente.

Quando furono in camera d’albergo la spogliò dolcemente. Le baciò il seno e sentì i capezzoli che le si indurivano in bocca. La sua lingua scivolò giù, sempre più giù, ed i bottoni Levi’s liberarono la sua passione. “Prendimi amore, ho voglia di te”. E le accarezza i capelli. Forte, sempre più forte, giù, sempre più giù… fino a sentire il profumo di Bankok che le scivolava tra le gambe…

III. A Bankok le università erano occupate. Gli studenti lottavano per un cambio di regime. I militari avevano preso il potere. C’era lo stato d’emergenza. Uomini in uniforme, armati sino ai denti, controllavano le strade della città. Furono svegliate, nel cuore della notte, da una raffica di mitra. Si affacciarono alla finestra. La polizia rincorreva un gruppo di giovani per la strada. Li incastrò in un vicolo cieco. Li picchiò violentemente con catene, spanghe e manganelli speciali. Il sangue colava giù dalla testa dei giovani studenti.. Raquel, la più giovane delle due, andò in bagno a vomitare lo schifo di quel regime militare che proteggeva persino il loro quartiere europeo. Poi impugnò con fermezza la sua Nikon e iniziò a scattare, a documentare. “Scendo in piazza”, disse a Pepa. “Voglio stare con gli studenti”. Pepa provò una fitta al cuore. “Non proteggermi, amore. Io non resto qui a guardare”.

Il giorno dopo la fu a cercare alla centrale di polizia. Sanguinava ancora dalla tempia. Pepa pagò la cauzione e poté riabbracciarla. “Santo cielo”, le disse, “ti ho cercata dappertutto. Ero in pena per te”. “Tre studenti sono morti questa notte durante gli scontri, e molti di loro sono stati picchiati e torturati selvaggiamente. Scriverai dei quello che é successo, vero?.”

Dopo la doccia si sentirono entrambe meglio. “Abbracciami forte, amore, ho bisogno di te”. Bussarono alla porta. Chi sarà a quest’ora? . “Dovete scendere giù per un controllo. Lei signorina Raquel W. ha già dei precedenti penali per manifestazione non autorizzata, offesa al Pubblico Ufficiale e blocco stradale. Le consigliamo di agire con prudenza. La invitiamo cordialmente a lasciare quanto prima il nostro paese.” “Ma siamo in vacanza. Io sono una giornalista. Andrò oggi stesso all’Ambasciata… vada pure dove le pare, nos da lo mismo”.

Tesoro, pensavo a quello che ti diceva l’ufficiale governativo quando parlava di blocchi stradali, di manifestazioni non autorizzate… “Ah, si!! E di espropri proletari, di occupazioni di case sfitte, di denunce contro le carceri di stato…” “Volevo chiederti: non era la prima volta che finivi dentro, vero?”. “No, tesoro. Non era la prima volta”. “Credo che dobbiamo parlare dell’argomento”. “D’accordo. Adesso andiamo a cena fuori. Ho voglia di vedere Bankok con i tuoi occhi”…

I due coniugi americani le si avvicinarono sorridenti. “Avete sentito degli scontri di questa notte? E’ stato or-ri-bi-le. Non siamo riusciti a chiudere occhio. Per fortuna adesso la situazione é sotto controllo. La polizia ci ha detto che i responsabili degli incidenti non erano neppure degli studenti”. “E chi erano? Dei marziani?”. “Ci hanno detto che erano dei provocatori che si erano infiltrati tra gli studenti per creare disordini”. “Madonna mia! Questi credono ancora nella Befana!”. “Befana? Y don’t understand what you say”. “Meglio idiota che non capisci un niente! Digli di tornarsene a Yankilandia”. “Rimarrete qui in vacanza fino a dicembre?” No. Ripartiamo subito. Abbbiamo voglia di cambiare aria, di cambiare gente…

IV. A Madrid trovò la faccia di Manolo dove l’aveva lasciata due settimane prima. “¿Que tal Bankok? Te ha gustato Bankok?” Si. Stupenda Bankok. “So che ci sono stati dei disordini provocati dagli studenti”. “Si, lo sai Manolo come sono gli studenti, sono uguali in tutte le parti del mondo”…

E si ricordò dei suoi anni passati all’Università dei suoi esami superati brillantemente alla Scuola Ufficiale di Periodismo. Ma non poteva dimenticare quelle facce ricoperte di sangue degli studenti di Bankok. La lotta, la dignità e la rabbia degli studenti di Bankok. “No, Manolo. Gli studenti non sono uguali in tutte le parti del mondo. Credo che scriverò un articolo su Bankok. La mia donna mi ha lasciato ma io scriverò un articolo sugli studenti di Bankok”. ”La tua donna ti ha lasciato? Che donna?” “Si, Manolo”. “Madonna santa, Pepa… Che ti é successo a Bankok??”

Tornando a casa c’era una lettera di Raquel che l’attendeva: “Ciao amore, sono in Italia e penso a te. Mi manchi tesoro. Qui succedono delle cose strane, incredibili e vorrei tu fossi qui per vederle. Le università di tutto il paese sono oc-cu-pa-te!! No me lo puedo creer!! Sono a Venezia, alla facoltà di Architettura, e gli studenti stanno organizzando un sit-in contro la privatizzazione dell’università, il numero chiuso, l’aumento delle tasse. C’é uno stato di euforia generale. Si dorme poco, si parla tanto, si mangia e si beve a tutte le ore del giorno e della notte. E si fa politica, tesoro, si fa politica de verdad. Si scrivono volantini, si organizzano manifestazioni, dibattiti, conferenze, corsi didattici alternativi…

E a Bologna… A Bologna dicono che succedono cose dell’altro mondo. Vorrei andare a Bologna tesoro, e vorrei andarci con te. Vorrei svegliarmi con te nell’Università occupata. Vorrei seguire con te i dibattiti politici, vorrei capire con te che sta succedendo qui in Italia. Perché non ci incontriamo a Bologna tra qualche giorno? Pensaci amore. Pensaci e fammi sapere”. Pepa non sapeva che fare. Non sapeva neppure cosa fosse un’università occupata. Lei non aveva mai pensato ad occupare l’università in tutti i suoi anni di studio…

Aveva quella stessa notte una riunione di lavoro con i suoi colleghi.

Pensò di parlare con Felipe, con l’unico del suo gruppo che si occupava di politica. In redazione lo chiamavano ML(Marx-Lenin). Era stato arrestato, durante il franchismo, per propaganda di materiale sovversivo. Il direttore del giornale l’aveva relegato alla pagina sportiva. Qualsiasi cosa Felipe scrivesse suscitava passioni e polemiche. La gente voleva parlare di Diana d’Inghilterra, dei viaggi a Cancun. La gente evitava Felipe… Ma neppure lei l’aveva mai invitato a casa sua a prendere un caffé. E non gli aveva mai proposto di andare a cinema, o a teatro, o a un museo. Neppure lei. Ma adesso voleva farlo.

Ciao Felipe” “Ciao Pepa, come va?” “Come va il lavoro?” “Bene, il Real Madrid vuole vincere la Coppa Europa …”. “Felipe…” “Si?” “So che in Italia le università sono occupate…” “Si. In Italia gli studenti stanno lottando contro una legge proposta dal ministro Ruberti che prevede la privatizzazione dell’Università. Ho letto giusto oggi che ci sono stati degli scontri con la polizia alla facoltà di Psicologia di Padova. Ci sono stati arresti, vari feriti …” “Felipe….” “Si?” “Padova é vicino Venezia, verdad?” “Si, Pepa. Padova é l’Università più vicina a Venezia” “O Madonna santissima, lo sapevo…” “¿Che succede, Pepa? Volevi andare a Venezia al festival del cine??” “No Felipe, a Venezia probabilmente ci manderanno Manolo… é che c’é una mia amica, lì a Venezia”. “E che fa? Vedi che la polizia non carica i turisti nelle gondole…” “Lo so, Felipe, però la mia amica dorme nelle università occupate” “Non ci posso credere…” “Devi crederci, Felipe, devi crederci..”

Pepa?… Sai che il movimento degli studenti italiani si chiama Pantera?.. Qualche tempo fa una pantera scappò da uno zoo di Roma. Voleva essere libera, la polizia ancora non é riuscita a catturarla….”

“Esto es el contestador de… Ciao amore, sono io. Ti chiamo dalla facoltà di Scienze Politiche di Padova. Questo pomeriggio ci sono stati degli incidenti. La polizia é entrata nell’Università ed ha caricato bestialmente gli studenti. Domani ci sarà una manifestazione. Scusa il casino tesoro, sono nel bel mezzo di una festa regge, c’é un bordello della madonna. Ti chiamo più tardi.. ”

Il giorno dopo Pepa era felice di recarsi al lavoro. Pensò agli operai rinchiusi nelle fabbriche, ai minatori nelle miniere, alle donne segregate in casa. Pensò alla voce di Felipe. Pensò alla sua vita, alla sua sensibilità. Pensò di avercelo avuto sempre accanto e di non averlo visto sino a quel giorno in cui le aveva parlato della Pantera…

Felipe…” “Si?” “Sai una cosa?” “Che?” “Oggi venendo al lavoro ho pensato ad una ragazza che pulisce le scale nel mio palazzo. E’una ragazza giovane, avrà sedici-diciassette anni e non so neppure come si chiama…” “E che?” “Oggi ho pensato, per la prima volta in vita mia, che non é giusto che una ragazza tanto giovane non vada a scuola, non vada a teatro, non esca con i suoi amici. Non é giusto…” “Già…” “Ed ho pensato che non so neppure come si chiama. Ti rendi conto? La incontro tutti i giorni per le scale e non so neppure come si chiama…” “Non é questo il problema, Pepa, e lo sai bene.”

Ho pensato ai miei sedici-diciassette anni… Ho pensato a mio padre, che voleva diventassi medico e a mia madre che voleva fossi avvocato. Quando mi iscrissi alla facoltà di giornalismo mi sembrava di aver fatto la rivoluzione. Mi sembrava che avessi avuto il coraggio di scegliere la mia vita. Invece la mia vita era già stata scelta dal mio quartiere di provenienza, dalla mia estrazione sociale, dalla cultura dei miei genitori, dalla piscina del mio palazzo..” “già”. “Felipe” “Si?” “Non so da dove iniziare…” “Inizia dalla tua amica, inizia col chiederle il suo nome. Il resto verrà da sé…”

V. “Pepa?” “Si?” “Ciao amore, sono io. Sono Raquel. Sono a Bologna. E’ bellissima, dovresti vederla… Ci sono portici, e bici, e studenti. Ci sono vari collettivi politici… Un gruppo di lesbiche e femministe vorrebbe occupare un centro sociale per sole donne…”. “Amore?” “Si?” “Quando vieni a Madrid vorrei presentarti dei miei nuovi amici… uno si chiama Felipe. E’ un compagno, lavora in redazione con me. L’altra si chiama Marta, pulisce con sua madre le scale del mio palazzo. Ha ventun anni, le piacciono i Rolling-stone…”

Raquel a Bologna passeggiava sotto i portici e stazionava in Piazza Verdi con i suoi nuovi amici. Piazza Verdi era la piazza dei “compagni”, la piazza delle lotte degli studenti. Nel ‘77 la polizia vi era entrata con i carri armati. La mensa centrale era occupata. Gli studenti distribuivano lasagne e tortellini. Una ragazza col megafono parlava di diritto allo studio. Era alta. Aveva occhi verdi i capelli ricci, si chiamava Giulia e faceva teatro. Era di Roma, ed era bella. Raquel non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Voleva conoscerla. Le si avvicinò sorridente. “E’ da molto che siete in occupazione?”. “Si. La mensa è occupata da una settimana ma le università sono occupate da vari mesi.Senti… tra un po’ c’é la riunione dei compagni. Se hai voglia possiamo prendere un caffé al Piccolo tra dieci minuti, ti va?”

Raquel non stava più nella pelle. Avrebbe preso un caffé con Giulia, avrebbe preso un caffè con Giulia… non riusciva a pensare ad altro. Giulia era la politica fatta persona, le parlò di Giorgiana Masi, di Mara Cagol e delle lotta dei compagni… Senti, le disse, tra qualche giorno occupiamo un posto nuovo, è qui in via Zamboni, al numero civico 36. Ci vogliamo fare una biblioteca, una sala studio, un posto in cui riunirci, vogliamo studiare con i compagni, vogliamo creare una cultura politica differente…

Il giorno dopo le due ragazze scesero in piazza a cercare i compagni. Piazza Verdi era assediata dalla polizia. Gli studenti si erano rinchiusi nelle mense, nelle università… Un’ambulanza stazionava al lato della mensa. Una giornalista spagnola era stata ferita durante gli scontri, si chiamava Pepa. Raquel corse a cercarla…

V Passarono la notte al 36 occupato.. Studenti del Dams, e di Scienze Politiche coloravano le mura della facoltà, si rideva, si scherzava… C’era chi portava del vino, chi cantava in coro, chi suonava la chitarra. Giulia era in riunione con i compagni, scriveva volantini e organizzava il servizio d’ordine. Pepa prendeva nota, si ritrovò emozionata come al suo primo giorno di scuola, finalmente sapeva cos’era un’ università occupata, finalmente lo sapeva!

Prese un pennarello e scrisse sopra i muri una poesia di Cortazar: “Tocco la tua bocca, con il dito tocco il bordo della tua bocca, la disegno come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si schiudesse, e mi basta socchiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare d’accapo. Riproduco ogni volta la bocca che desidero, la bocca che la mia mano sceglie con solenne libertà e che per un caso che non voglio comprendere coincide esattamente con la tua…”

Pepa aveva appreso che i muri colorati erano la forza del movimenento e che dormire nell’università occupata era la cosa piu’ bella che le fosse capitata in tutta la sua vita…

Quella scritta rimase sui muri del ‘36 fino al giorno in cui uomini in uniforme segnarono la fine di un’esperienza e di un sogno politico collettivo. Adesso le mura del ‘36 sono bianche, gli studenti mostrano tesserini magnetici per studiare in biblioteca e per discutere sulle guerre puniche e le conquiste normanne. Ma Giulia, Raquel e Pepa ricordano ancora di quei giorni passati al ‘36, quelle notti spese a lottare e a creare uno stile di vita differente.

“Podrán cortar todas las flores, pero no tendrán nunca nuestra primavera”.

 

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Carlo Giuliani

Carlo Giuliani

Post n°46 pubblicato il 01 Marzo 2009 da viajera67

Carlo Giuliani

Carlo tenía veinte tres años y un extintor entre las manos cuando lo mataron en Génova el 20 de julio del año 2001. Aquel día no sabía si ir a dar un paseo por las playas (Génova era, desde luego, su ciudad), o ir a la mani. A las tres de la tarde estaba tomándose algo con un amigo cuando vio a la policía que cargaba, con porras y lacrimógenos, a un grupo de manifestantes que levantaban los brazos como para rendirse. “Conociendo a Carlo, sé que tomó la decisión de quedarse con ellos. Me llamó por teléfono. Me dijo que iba a la mani, que no me preocupase, que había mucha gente” me cuenta su padre cuando lo encuentro en Génova para que me hable de Carlo y de la dinámica de su asesinado. Carlo estaba bastante cerca de la estación, en la calle Tolemaide, cruzó a la mani de las “tute bianche” que había sido autorizada hasta la zona roja. Pero la policía cargó antes. ¿Por qué lo hizo?

Yo estaba desde el jueves en Génova, durmiendo el estadio Carlini. El viernes a las dos de la tarde salimos para ir hacia la “zona roja”. La ciudad estaba llena de humo de lacrimógenos, de helicópteros y de más de 17.000 “hombres del orden” que controlaban cada nuestro movimiento. Las “tute bianche” intentaron llegar hasta la “zona roja”. Cargas de la policía y de los carabinieri pararon nuestro derecho a manifestar. Subí hasta el tercer piso de un palacio para hacer fotos. Un chico me abrió. Pude ver desde arriba lo que pasaba: se oían gritos, disparos, se veían lacrimógenos por todas partes. Te quemaban los ojos, la piel, el humo te entraba en el estómago y te daba náusea, vómito y desmayo. Lo que querían era parar mucho más que unos cuatros “violentos” vestidos de negros. El movimiento antiglobal luchaba contra unos ocho “potentes” que, encerrados en la “zona roja”, se estaban dividiendo la tarta del mundo. “Es la primera vez, desde hace tiempo, que los jóvenes no bajan a la calle para pedir algo que no sea para ellos mismos” (Giuliano Berlinguer, Democrático de Izquierda). De repente un grito de dolor: “¡Han matado a un chabal!”. Eran las cinco y media de la tarde. Carlo Giuliani había muerto.


Pasaron con tanques, cargaron con porras y lacrimógenos a toda la gente que encontraban por la calle. Vi a manifestantes que se enfrentaban a los policías para permitir a los otros de huir. Empujaron la mani hasta el estadio Carlini para que nos quedásemos en un “recinto”. La ciudad estaba vacía. No teníamos nada para comer. Todas las tiendas estaban cerradas. Pegaban y detenían a gente que salía simplemente para comer algo o para llamar por teléfono. Si ibas al hospital te pegaban, te detenían(Caserma Bolzaneto) y te hacían cantar “Viva el Duce” o “faccetta nera”. Durante aquellos días, en Génova, el gobierno Fini-Berlusconi había suspendido las libertades “democráticas”. Pagábamos el precio y el privilegio de vivir en uno de los países más ricos y industrializados del mundo.

Carlo había muerto. Nosotros sabemos que estaba luchando para defender sus ideas. Pero lo que vimos fue la imagen de un chaval que lanza un extintor a una furgoneta de los carabinieri. El carabiniere disparó. ¿Fue legitima defensa?

El choche de los carabinieri se había parado en plaza Alimonda. A los carabinieri les estaba entrando el humo que lanzaban contra los manifestantes. No podían respirar. Tenían que huir. Unos cuantos gritaron: “!Es una trampa!”. El carabinieri Mario Placanica, de veintiún años, empuñó el arma. El articulo 52 de Código Penal considera legitima defensa cuando la acción es proporcional a la gravedad de la ofensa subida. Placanica no miró hacia arriba, como por ley debería haber hecho, sino contra los manifestantes. Carlo lo vio. Podía haber huido, pero no lo hizo. Recogió desde el suelo el extintor y intentó desarmar al carabiniere.

En aquel momento Mario Placanica disparó a Carlo en la cara, golpeándolo en el ojo izquierdo (no a las piernas, ni en el aire), y lo mató. Los manifestantes huiron, (“esto pasa “naturalmente” cuando alguien oye un disparo”, comenta Giliano Giuliani) la furgoneta pasó dos veces sobre su cuerpo, y los carabinieri dejaron la plaza.

La verdad es que los disparos fueron dos. En las imagen que se ven (Rai-tre) hay otro carabiniere que está en la calle y que dispara contra los manifestantes (se ve el “reculo” de su pistola y se oyen dos disparos). Lo confirma Bruno Abile, fotógrafo free lance de Paris: “He visto disparar contra al chico a un “carabiniere” que estaba en la calle, a cinco, seis metros de la jeep. (no llevaba escudo, tal vez era un oficial). Cuando el chabal estaba en el suelo algunos “carabinieri” lo golpearon con botas en la cara, luego pegaron a otros fotógrafos. En fin se golpearon entre ellos…” Ha sido una suerte que no haya matado a otro chaval. Comenta Vittorio Agnoleto, portavoz del Genoa Social Forum. Sobre este caso la Magistratura está investigando. Placanica tenía veintiún años, se “justifica” su acción por “falta de experiencia”, por el hecho que era un militar de leva, pero, ¿Quién era el otro “carabiniere” che disparó?. ¿Se está cubriendo a otro “alto” funcionario del Estado?

Al padre de Carlo esto no importa. El proyectil que mató a su hijo fue el primero. Luego el autista pasó dos veces sobre su cuerpo, pero Carlo ya había muerto. A Giuliano Giuliani y a su familia importan dos cosas:

Cuando Carlo ya había muerto alguien lo golpeó con algo en la cara. Si Carlo no hubiese muerto por un disparo, podrían haber dicho que lo había matado una piedra y esta fue, desde luego, la primera versión que dio la Policía. Cargaron a los manifestantes y gritaron: “¡lo habéis matado con una piedra!”. Pero todo el mundo había visto las imágenes del carabiniere que empuñaba la pistola frente a Carlo, y no podían secuestrar a todas las cameras de todos los reporteros del mundo.

Otra cosa: los carabinieri no estaban aislados. En las fotos se ve a uno de ellos que llama refuerzos que están a unos pocos metros de la furgoneta y que alcanzan al grupo cuando Carlo está en el suelo. Nadie puede justificar una reacción tan violenta.

Y aún: ¿A qué distancia se encontraba Carlo del carabiniere? Las fotos que han dado la vuelta al mundo lo retraen bastante cerca del carabiniere (decimos unos 30 cm, máximo un metro) porque han sido realizadas por parte de un fotógrafo de la Agencia Reuter que estaba a unos quince metros detrás de Carlo, con uno zoom 70-210 que aplasta las imágenes. Pero Marco D’Auria, otro fotógrafo de Rai Net News, que estaba en una calle lateral nos demuestra que la distancia ente Carlo y el carabiniere era por lo menos de cuatro metros. ¿Por qué esta foto todavía no ha sido publicada en Italia? ¿Podemos seguir hablando de legitima defensa?

El día siguiente más de trecientomil personas bajaron a la calle para protestar contra este asesinado, y contra la represión policial de aquellos días de Genova. Era nuestra respuesta al miedo que intentaban inculcarnos. Massimo D’Alema, leader de los DS (Democráticos de Izquierda), en el Parlamento italiano, habló de Represión Chilena porque, si por la muerte de Carlo Giuliani pueden sostener que fue un “accidente”, cómo pueden justificar la carneficina que cometieron en la Escuela Diaz y en la Caserma Bolzaneto? Pero el partido de Massimo D’Alema no apoyó al movimiento antiglobal. Estuvo al Gobierno durante cuatro años (1996-2000), y con una política reformista apoyó la intervención italiana a la guerra en la ex yugoslavia y quitó más derechos a la clase trabajadora que el primer gobierno Berlusconi (1994-1996).

Sólo Rifondazione Comunista y los Verdi siguen haciendo, a nivel parlamentar, una verdadera oposición al gobierno Fini-Berlusconi. Fini es el leader de Aleanza Nacional, el ex partido fascista que, durante los días de Genova, estuvo plantado en las Casermas de los “carabinieri” para expresar su “solidaridad” al trabajo que estaban haciendo. Pero, “cuanto dura esta solidaridad?”, comenta Giuliano Giuliani, “diez minutos o diez horas? Nosotros, sindicalistas y comunistas, siempre hemos soñado no morir democristianos (la Democracía Cristiana era el partido que gobernó en Italia durante cuarenta años), pero estos fascistas que ahora están al gobierno, no creen ni en los valores del Estado que deberían representar”.

El sábado miles de personas llegaron a Génova para defender el derecho a manifestar que nos estaban negando. El DS aconsejó a sus militantes de base de quedarse en casa. La plaza de Genova era demasiado “caliente” para la izquierda reformista y democrática italiana. Pero más de trescientas mil personas llenaron las calles de la ciudad. El sábado por la noche la carnificina de la Diaz. Nadie hubiera podido imaginarse nada parecido. Arnaldo La Barbera (responsable de los grupos antiterroristas) ha sido promovido a los más altos cargos de los servicios secretos y Ansoino Andreassi (ex jefe de seguridad del G8 en Génova) es ahora vice director del Comité Ejecutivo para los Servicios de Información y Seguridad. Esto es el juego de ajedrez que están jugando, y que alguien llama “justicia”

Pero tenemos grabadas las imágenes de la “gente” de Génova que nos lanzaba agua desde las ventanas de sus casas. Quemados del sol y los lacrimógenos (cargaron hasta en el túnel ferroviario entre corso Torino y corso Sardegna) tomábamos esta agua como un alivio. Un mundo diverso/diferente es posible. Carlo Giuliani matado mientras intenta parar, con un extintor, una violencia no proporcionada, no justificada y, todavía hoy, no documentada. Génova libre: ciudad de Carlo, ciudad de todos.

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Roca

Roca

Post n°47 pubblicato il 01 Marzo 2009 da viajera67

Te veo fuerte como una roca, yo pequeña y tú inmensa, buscaba tu mirada a la salida del colegio, pero nunca la encontraba, estabas ocupada: mucho trabajo, poca plata, una vida de esclava.

Necesitaba un abrazo por las noches, antes de acostarme o por las mañanas, antes de salir de casa, per lo único que recibía era una descarga de insultos que no era lindo escuchar. Pedías que te ayudara en casa, era una mujer como tú, una desgracia de la naturaleza, pero era sólo una niña, tenía derecho a jugar, estudiar, a descubrir el mundo.

Cada vez que me veías con un libro en mano pensabas malgastase mi tiempo, los libros dan independencia, te hacen soñar, reír, te vuelven ambiciosa. Una mujer tiene que buscar a un hombre que la quiera o, por lo menos, que la respete, que no se emborrache y no le pegue. En eso, sólo en eso, querías dar a tu hija un futuro diferente del tuyo.

Pero ella te traicionó. Su padre le compró una moto, un carro, le dio plata y la trató como una reina. Lo peor es que le dedicara su tiempo, un tiempo que nunca fue tuyo. Se la llevaba a la playa, le enseñaba a nadar, la recogía del colegio. Esto no lo soportaste nunca. El fracaso de tu vida reflejado en los ojos y los sueños de tu hija. Necesitabas matar la sonrisa con la que ella regresaba a tu casa. La llamaste puta, era lo único que se te ocurría, le pegaste, la humillaste, la echaste de tu vida. Volverás de rodilla, le decías, pero ella cerró la puerta de tu casa y nunca más regresó a buscar tu mirada.

Con poca plata y muchos sueños saltó de una cama a la otra, se sentía una puta pero no le importaba. Su padre le había enseñado a respetar su cuerpo y sus deseos, él vivía así su vida, un hombre es dueño del mundo. Coge, deja y consuma, así de simple la felicidad de la vida.

Un día la llamaste para decirle que habías acabado la carrera, deseabas ella fuera a verte. Se horrorizó cuando descubrió como vivías: te encontró en la cama con un hombre, no te regañó pero deseaba hacerlo, la daba asco tu ropa, no era el símbolo de un avance social, tus amigos te parecían raros: los hombres mujeres y las mujeres hombre. No era el mundo académico que esperaba, un mundo que siempre la excluyó y que ahora no reconocía.

Pero cuando leyeron la nota final se puso a llorar, no se lo esperabas, iba a regresar a su casa contenta, pensaba en el marco que iba a comprar, la gente podía decir lo que quisiera, su hija entraba por la puerta principal a un mundo que ahora le gustaba.

Pensó cuando la llevaba a recoger aceitunas a los ocho años, hacía mucho frío y ella lo sabía, a la niña se le congelaban las manos, pero su madre no tenías piedad. Ella también había hecho lo mismo sin quejarse, deseando ser buena niña, buena mujer, buena esclava. La obligan a ir a la iglesia, a cantar en el coro, a conservar el honor de su cuerpo, a trabajar por la familia. Nunca fue dueña de su plata, de su vida ni de su cuerpo.

Ahora extraña a aquella niña que no soportaba, deseas tocarla y compartir su vida, pero ella está lejos, no está huyendo de tu mirada, esto dejó de hacerlo hace tiempo, ha simplemente aprendido a vivir una vida diferente, le encanta viajar por el mundo, no vive con ningún hombre y esto no entiendes. Con los muchos que hubiera podido escoger no eligió a ninguno. Llegó un momento en el que sólo viste mujeres en su vida, al principio te gustaba pero luego empezaste a preocuparte. Dejaste de pegarle y de llamarla puta, pero ella no cambió su vida.

Cuando te sientes triste miras el cuadro que colgaste en tu salón, lloras como lloraste aquel día, pero ahora no te importa de su vida, quieres sólo que sea feliz como nunca lo fuiste en tu vida, no plancha para ningún hombre y esto te llena de orgullo, te demostró que era posible vivir una vida diferente. Aprendió que el precio de la libertad lo pone la gente que nunca se mueve de su casa, el precio que le pusiste tú, el que te pusieron a ti, el precio de una cadena que alguien decidió romper.

Ahora quieres que regrese a tu casa y no sabes como decírselo. Ella también desea verte pero tampoco te lo dice. Vuestra relación se ha resuelto en llamadas semanales de un capo al otro del mundo. Como estás, has comido bien, se acaba la llamada y no le has dicho que la quieres. No sabes donde vive tu hija, no tienes ni un mapa en tu casa, sabes que está lejos y deseas abrazarla como cuando era niña y te llamaba por las noches, se mojaba en la cama y la humillabas, lastima que no escuchaste su deseo, lastima que la pegaste tanto, lastima que ella nunca puso al mundo una hija. Aunque sola, sin hombre, pero una hija suya.

Hubieras querido educarla, sangre de tu sangre, le hubieras enseñado a leer, a escribir, la hubieras llevado a la playa, enseñado a nadar, le hubieras comprado una moto, un carro, un libro, un billete de avión, la hubieras recogido del colegio. La hubieras abrazado tanto que esta niña hubiera decidido ser una puta, una santa o una mujer cualquiera, de esto poco te habría importado, la gente diga lo que quiera, el cuerpo pertenece a quien lo lleva y no a que lo juzga, esto lo aprendiste col tiempo, lastima que esta niña no eres tú, hubieras podido vivir una vida diferente y nadie te lo dijo, excepto esta mujer que ahora vive al otro capo del mundo y que deseas abrazar y besar como nunca deseaste hacerlo con nadie.

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Pantera

pantera

Post n°48 pubblicato il 01 Marzo 2009 da viajera67

La policía las paró a la salida de la Facultad: nombre, apellido, fecha de nacimiento. Te conocemos, sabemos por dónde te mueves, con quién sales, por dónde vives. Te aconsejamos una militancia más “prudente”. Es una advertencia, tómala como quieras…


Era el noviembre del ‘90 y todas las Universidades de todas las ciudades italianas estaban ocupadas. El movimiento se llamaba “pantera”.

Una pantera se había escapado del zoológico de Roma. Policía, carabinieri, bomberos, guardia di finanzas, “mozos de esquarra” la buscaban por toda la ciudad. Es una cuestión de orden público, es competencia del Ministerio del Interior. ¿Dónde está la pantera?

-¡la pantera siamo noi!- contestaron los estudiantes. Aquella misma noche se ocuparon a la vez, en Bolonia, Palermo, Firenze, Bari, Milano, Perugia, Venezia las facultades de Política, de Filología, Física, Informática, Ingeñería, Derecho para luchar contra la privatización de la cultura, contra una ley propuesta por parte del ministro “Ruberti”.

Eran las tres de las mañana y dejé, con una amiga, la facultad de filología de Bolonia para buscar comida para los compañeros. La policía nos esperaba fuera. Nos paró, nos amenazó. Mi amiga se asustó, volvió a su “mundo interior”. Nunca más compartimos comida ni lucha social…

Las universidades se quedaron ocupadas hasta julio del ‘91. Fue un año increíble, se conseguió parar el proyecto de ley… al mismo tiempo en Bolonia, se ocupó una sala estudio de la Facultad de Filología, en Via Zamboni, en el número 36. Se podía estudiar, hacer política, organizar charlas, conciertos, hasta las tres, las cuatro de la mañana. Nosotros teníamos la llave del “36”, las llaves de la Universidad.

Un día una compañera me dijo: “¿por qué no fundamos un colectivo feminista?”. Mira, estoy en el grupo de la Facultad, en el colectivo de gestión política del 36, y … compañera, te estoy hablando de otra cosa, te estoy hablando de feminismo. Vale, me lo pensaré.

Con el feminismo se revolucionó radicalmente la manera de hacer política. Algunas militaban en el Partido Comunista, otras eran “autonomas” o anarquistas, trotskistas y libertarias. Algunas comulgaban con el pensamiento de la diferencia, otras con el de la igualdad. Empezamos a hablar y a hablar durante hora y por fin surgió “lilith luna nera”.

En Bolonia existían otros grupos feministas y “lesbicos-feministas”. Nos reuníamos una vez al mes para coordinarnos. La relación con las mujeres “institucionales” era conflictiva, pero al mismo tiempo dinámica y “propositiva”

¿y la relación con los hombres, con los compañeros? Una vez tuvimos que ocupar una radio del “movimiento”, una radio “autónoma” porque tanto que estamos contra el sistema y podemos decir lo que nos da la gana, y aquí sí que aquí no se censura a nadie, podemos comparar el separatismo feminista y “lesbico-feminista” al “separatismo” nazi. Se ocupó la radio, se leió un comunicado que parecía una declaración de guerra. O tal vez lo era.

Unos días después un compañero (¿era un hombre o no lo era?) intentó entrar y participar en una reunión feminista en una casa ocupada en Via del Pratello. Las feministas le rompieron la cabeza (con una botella).

Y nos acordamos, en aquellos momentos, del ‘74, cuando en Roma, cuando los “compañeros” de Lotta Continua atacaron a una manifestación feminista porque separatista, porque no tenía como prioridad absoluta y “indiscutible”, la lucha de clase. Fue muy duro para todas, pero se delimitó el derecho de las mujeres a reunirse en espacios donde los hombres y los compañeros (tenemos que especificarlo si no no se entiende bien la cosa) no podían entrar, participar, tomar palabra. ¿es muy duro comprender que queremos espacios solo para nosotras?

El machismo era muy duro, sobre todo en grupos históricos della “vecchia guardia” dell’”autonomía obrera”. Existía, en Bolonia, en Via Avesella, un grupo de autonomos “irreductibles” antinegrianos. Hacían sobre todo, un trabajo político contra la cárcel y la represión. Eran muy “duros”, muy machos y muy coherentes. No había mujeres-militantes entre ellos.

¿era ésta la otra cara de la coherencia?

En Bolonia, el 11 de marzo del ‘77, la policía había matado, durante una manifestación, a Francesco Lorusso, estudiante de medicina. En Roma, el 12 de mayo del ‘76, durante una manifestación feminista para el derecho al aborto, organizada por parte del Partido Radicale cayó la compañera Giorgiana Masi.


En los años ‘70, en Italia, fábricas y universidades estaban ocupadas, el estado temía una revuelta social. Respondió al movimiento con la represión, empezó la llamada “estrategía de la tensión”.

Bombas, bombas cayeron para reprimir al movimiento y la lucha obrera. El 12 de diciembre en Milán explotó una bomba en la Banca Nazionale dell’Agricoltura. Era una bomba fascista, estaba claro, pero el Estado y el Gobierno buscaron “chivos expiatorios” en los grupos anarquista de extrema izquierda

Pinelli, ferroviario, militante anarquista del “Ponte della Ghisolfa” fue detenido y “voló” desde la cuarta planta de la Comisaría. Suicidio, se dijo, homicidio, contestó el “movimiento”. Responsable político: el comisario Calabresi. Dario Fo escribió: “morte acidentale di un anarchista”. En el ‘74 alguien mató a Calabresi. Nadie revindicó el atentado. Marino, militante arrepentido de Lotta continua, acusó a “sus compañeros”. Sofri, Bompressi y Pietrostefani siguen detenidos sin pruebas.

¿es la palabra de un arrepentido una prueba judicial?

En el ‘69: Strage di Piazza Fontana, Milano. En el mayo del ‘74 una bomba fascista explota en Piazza della Loggia a Brescia durante una concentración sindical. El dos de agosto del ‘80 otra bomba, en la estación de Bolonia, ciudad simbol de la lucha antifascista. Al mismo tiempo continúa la represión contra el “movimiento”. Processo 7 Aprile ’79 en Padua que ve la detención de Toni Negri prof. de Ciencias Políticas. Construción de cárceles especiales, detenciones más o menos de sesenta mil presos políiticos, “teorema Calogero”,(si no estás con el Estado, estás contra el Estado), leyes antiterrorismo. Surge la lucha armada. Renato Curcio y Mara Cagol fundaron, en Milán la “Brigada Roja”

Sigue la tortura, la represión, sobre todo después del secuestro Dozier, representante de la OTAN y del imperialismo americano en Italia. En el ‘78, la Brigada Roja, detiene y mata a Aldo Moro, líder histórico de la Democracia Cristiana, después de que el estado no quiso “pactar” con los “terroristas” y liberar a presos políticos. Leyes especiales para los arrepentidos. Mucha gente decide colaborar con el Estado. Toni Negri firma el “papel de los 51” y huye a Francia con otros compañeros. Actualmente ha regresado a Italia y goza de la libertad condicional según la ley “Gozzini” que “concede” a muchos detenidos una redución de pena.


En el ‘95 desalojaron el ‘36, la biblioteca de la Facultad de Filología ocupada durante la “Pantera”. En aquel momento vivía en Barcelona, estaba investigando sobre la represión estalinista durante la guerra civil española. Me llamaron los compañeros, “nos van a desalojar” -Bologna, la rossa, é rossa di vergogna-


Entonces pensé en tantas reuniones, en tantas emociones que había vivido con los compañeros. Pensé en tantas mujeres que habían hablado por primera vez en público, que habían cogido un micrófono, escrito un panfleto, organizado una asamblea…


y en el ‘95, el Proceso a la Pantera. 120 denuncias por ocupación, “robo”, expropiación, apropiación de patrimonio público. 120 denuncias y más de 1.000 “autoinculpaciones”. Me acuerdo de la cola “kilométrica” frente a la comisaría. Tuvieron que parar el tráfico, nos encontramos en el proceso. Algunos de nosotros habían terminado la carrera, otros seguían ocupando casas, calles y universidades. Algunos líderes se “justificaban” frente al juez. “sí! señor juez, estaba allí, en la Facultad ocupada, pero aquel día, a aquella hora, había quedado con Fulanito para otra cosa, y sí que sabía que las Universidades estaban ocupadas, pero yo “estaba” y “no estaba” en la “movida”…

Y me acuerdo también de otros líderes y no líderes, de gente simple que había militado sin tantas palabras, sin tanto ruído… te miraban, te reconocían.

Y pienso en aquellas mujeres que aprendieron por primera vez a hablar en público, a escribir panfletos, a organizar asambleas, a luchar contra cualquier forma de poder. Ellas cambiaron la manera de hacer política, de sentir y de vivir la política. Pienso mucho en ellas. Y a veces las echo de menos…

 

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Pasos

Pasos

Post n°50 pubblicato il 01 Marzo 2009 da viajera67

Sus pasos.

  • Vino a mi casa por la noche. Pronto, por la mañana, se fue. La vi. bajar por la escalera, me fijé en sus piernas, en el ritmo de sus pasos. Volví a mi cama, intenté dormir, busqué mis bragas, las vi en el suelo, me encendí un pitillo.

  • La encontré por la calle, miré sus pasos, pensé en sus piernas, encontró a una amiga, se sentó en la barra, cruzó las piernas, bajaron al baño, volví a mi casa, me puse en la cama, serré los ojos, oí sus pasos, bajó la escalera, subió a mi casa, movía sus piernas.

  • bajé al servizio…

  • Me fui al cine, la vi en la peli, tocaba mis piernas, entraba en mis bragas, salía de la peli… tocaba mi culo… besaba a su amiga… le quitaba sus bragas… bajaba a comerla… tocaba mis piernas… quitaba mis bragas… bajaba a mojarme… entraba en la peli… salía de mi casa…

  • La vi a una mani… movía su porra… besaba a su amiga… cruzaba sus piernas… entraba en la mani… subía a mi casa… dejaba su porra…. me entraba por dentro…

  • Entraba en la ducha… me daba sus bragas… mojaba su pelo… mojaba mi pecho… salía de la ducha… entraba en mi cama… tomaba mi copa… cruzaba mis piernas… besaba mi cuerpo.

  • movía sus manos… cantaba en el coro… bailaba flamenco… movía sus piernas… bailaba en la playa… mojaba su cuerpo… besaba mi cuerpo… nadaba en la playa…

  • llamaba a su amiga… entraba en su cama… serraba su puerta… mojaba su cara… mojaba su techo… besaba su luz… besaba su cuerpo…. quemaba las velas… entraba en la playa…

  • tocaba su puerta… tocaba su cuerpo… paraba el reloj… quemaba las naves… la ataba a la puerta… quemaba su cuerpo… movía sus piernas… le entraba por dentro…

  • corría por la calle… le entraba por dentro… mojaba sus manos… mojaba sus piernas… dejaba mi casa… dejaba mi cuerpo… bailaba en la calle… miraba sus piernas… miraba la poli… pegaba su cara… movía su porra… cruzaba sus piernas… mojaba sus manos… entraba en la playa… entraba en mi cuerpo… cruzaba la calle… cantaba en el coro… bailaba flamenco…

  • Entraba en sus ojos.

Abría sus ojos… tocaba su flor… tocaba la estrella… miraba su cuerpo… cruzaba la calle… buscaba sus manos… buscaba su cuerpo…

tocaba la luna… miraba la estrella… buscaba su cara… besaba sus ojos… tocaba su cuerpo…

bajaba en la calle… tocaba a la niña… entraba en la ducha… salía de la cama… salía de su cuerpo…

entraba en la playa… miraba la luna… miraba sus ojos… tocaba la flor… buscaba su lucha… buscaba sus sueños… salía por la calle… besaba a la niña…

buscaba sus pasos… besaba su cara… entraba en su playa…. mojaba su cuerpo… tocaba sus manos… entraba en su alma… entraba en su cuerpo… buscaba sus sueños…

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Sado.

Sado

Post n°52 pubblicato il 02 Marzo 2009 da viajera67

Espejos, dildos, cinturones, esposas. “¿te gusta el sado?”. “Prefiero un buen polvo.” “¿sumisa o ama?”. “en la cama prefiero ama.” “¿y en la vida?”.

“¡Las esposas me dan miedo!” “Lo sé, compañera, pero es sólo un juego, déjate llevar…” “¡no me gusta que me aten!” “un día dejaste que…” “¡lo sé!” “¿y te gustó?” “¡un día me gustó!”


“¡es inmenso este dildo!” “¡es para dos!” “¡Ahora entiendo!” “¿Qué es lo que entiendes?”

Me dolía el alma. Y las muñecas. Pero era un juego. Era sólo un juego.

Me miré al espejo. ¿Sumisa o ama? Me encendí un pitillo. Me compré un cinturón. Le besé el cuello. Le dejé un chupetón. ¿en tu casa o en la mía?. Nada de personal, querida. Nos vemos otro día!…

La conocí en internet, tenía ganas de follar, bajé a buscarla. Toqué el timbre. Me miró a los ojos. Me ató a la puerta. Me folló como a una bestia. Me chupó el alma. Volví a mi casa. Besé a mis hijos.

Quedé con un grupo sado de Madrid. Espejos, látigos, dildos… “¿has follado alguna vez en una celda, Isabella?”. “Sólo alguna vez” “¿y disfrutaste?” “¡como a una loca!”

una habitación verde, otra amarilla, me compro un cinturón, me miro al espejo…¿ama o sumisa?

en la cama cinturones, dildos, espejos… ¿y en la vida?.

vayas por donde vayas, mires por donde mires,

déjate llevar, querida

 

déjate llevar…

 

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Paula.

Paula

Post n°49 pubblicato il 01 Marzo 2009 da viajera67

 Paula

Teníamos que partir juntas, Paula y yo. Teníamos que coger el mismo tren, a la misma hora para ir al mismo sitio. Paula, como siempre, llegó tarde. “!Paula, Paula! ¡Qué suerte que has venido! Temía que habías cambiado de idea!”. “No! qué va! es que me he olvidado algo y no puedo partir!”. “¿Algo importante?”. “¡Sí! El cepillo de dientes!” “!El cepillo de dientes? ¿Esto es importante para ti?”. “!Sabes como soy!”. “!Paula el tren ha llegado ya! ¡Ahora se va sin nosotras!” “¡no! ¡esto no! Cógelo tú por favor!”. “¿Yo sola? “¡Sí! ¡Te alcanzo a la próxima estación!”. “Pero sin ti yo no quiero partir!”. “!Yo sin mi cepillo de dientes tampoco!” !De acuerdo, tesoro, no te enfades! !Nos vemos en la próxima estación!”. En la otra estación ella no estaba, “se habrá parado a hablar con una amiga, se habrá ido al cine a ver una película, si me ha dicho que me alcanza no puedo bajar, sin ella no puedo bajar”. Pasaron días, pasaron meses, “¿ Por qué no me escribe una carta, por qué no me dice que me baje de este puto tren?. Tengo que quedarme, tengo que darle tiempo, ¡no sé qué coño tengo que hacer!”…

El tren llegó a una estación desierta, Julia bajó la ventanilla, miró el paisaje, y ¡vio a Paula con un grupo de amigas! “¡Paula, Paula! ¡Qué alegría verte! ¡Temía que te habías olvidado de mí!”. “¡No, tesoro, no me he olvidado de ti! He venido a acompañar a una amiga que se va a Nueva York, ha ganado una beca, si quieres te la presento, es muy maja”. “!No, no quiero que me la presentes!. ¡Quiero que subas!”. “¿A dónde?”. “¿A este puto tren, no?”. “!ah! ¡sí! ¡Casi me olvidaba! No sé, ¡necesito tiempo para pensar! Quiero subir cuando esté realmente preparada”. “¿Quieres que baje entonces?”. “!No, tesoro, no quiero que bajes!. Quiero que me esperes!. Estoy contigo, te llevo conmigo”. “De acuerdo, no bajo, te espero”. “!No me metas prisa si no me cortas el rollo!”. “De acuerdo tesoro…”

“¿Y qué tal tu cepillo?”. “¿Qué cepillo?”. “!El cepillo de dientes!”. “¿Quieres un cepillo de dientes?”. “No tesoro, no lo quiero”. “¿Entonces por qué me hablas del cepillo?”. Tu amiga se sentó justo frente a mí. “!Hola! ¿Qué tal?”. Quería estar sola y ella hablaba sin parar! “¿Eres amiga de Paula?”. “Sí, soy su amiga”. “!Es una persona increíble! Cada vez que la llamo me sorprende su energía. Es inteligente, es muy guapa, es… ¿qué te pasa? Te has puesto muy seria!”. “!No es nada!”. “!Paula dice que eres muy divertida!”. “Paula dice muchas cosas” “¿Qué?. “¡Bueno sí! Cuando estoy bien soy divertida!”. “¿Y cuándo estás mal?”. “Cuando estoy mal me pongo triste, ¡no hace falta ganar una beca intergaláctica para intuirlo!”. “!Perdona! Es que no puedo parar de hablar!”. “!Ya me he dado cuenta!”. “Es un defecto que tenía desde niña”. “Me imagino…”

“¿Por qué vas a Nueva York?”. “!Voy a un a un master de teoría feminista!”. “¿Y tú qué haces?. ¿Periodismo?”. ”No, soy camarera”. “!Qué bonito, qué interesante!”. “!Ya, me muero de placer cada vez que cojo una bandeja en la mano! “¿Tienes hambre?”. “Bastante!”. “¿Cenamos juntas, te apetece?. “Lo siento, no puedo cenar todos los días, este sitio es bastante caro para mí”. “¡Entonces podemos tomarnos un café! “De acuerdo, ¡entre tanto qué aproveches!…

“¿Qué estás leyendo?… “estilos radicales de Susan Sontang”. “No he leído nada de ella!”. “No me extraña!”. “pienso que la literatura americana de este siglo….” “¡escucha!… No tengo ganas de hablar de literatura en este momento!”. “¡De acuerdo! ¡Hablemos de otra cosa entonces!“"¿Por qué miras siempre por la ventanilla?”. “¡Espero ver a alguien!”… “¿A quién?”. “¡No importa!”… “¿a dónde vas?”… “¡Donde me lleva el viento!”. “¡me encanta la gente libre!”. “¡Un día se come y otro no! ¡Esto la gente no lo hace por hambre, sino para romper las normas del sistema!”. “¿Estás pensando en Paula?”. “¡Pienso siempre en ella!”. “¡Ella también piensa siempre en ti!”. “¡ya! ¡Pensar no cuesta nada! ¡Si costase algo ella pensaría en otra cosa!”. “¿Esperas qué suba?”. “¡Espero qué sí!”. “¡Mira, yo la conozco bien! Paula no va a subir!”. “¿Cómo lo sabes?”. “¡Si no ha subido hasta ahora no va a subir nunca! Paula tiene miedo, miedo de perder lo que tiene….”

“¡Hemos dado vueltas por toda la ciudad para encontrar un cepillo de dientes que le gustase!”. “¡No me lo puedo creer!… “¡No le había robado uno para hacerle una sorpresa!”. “¡Esto a Paula le encanta! Pero no es lo importante para ella!”. “¿Y qué es importante para ella?”… “¡escucha! Cada una tiene su estilo de vida, ¿vale? ¡No me pongas en crisis justo ahora que tengo que irme a Nueva York!”. “De acuerdo…” ¡Te aconsejo bajar, bajar cuando te dé la gana, cuando te lo sientas por dentro!. ¡no la esperes! ¡No te puedo ver así!”. “¿Te doy pena?”. “ No, no me das pena!”. “¿Y qué te da pena?”… “Te he dicho que tengo que irme a Nueva York, ¿no?. ¡No me cortes el rollo del master justo ahora!”.

“¡Te regalo el libro de Sontag!” “¿Piensas que pueda entender algo suyo?”. “¡no sé! Ella habla del silencio..” “¿Quieres que me calle?”. “¡No importa!¡Yo bajo a la próxima estación!…” “¿es esto lo que quieres?…” “no siempre hago lo que quiero!…” “quieres que baje contigo?…” “no, por favor! ¡Este es tu tren!…” “¿me regalas el cepillo de dientes? ¿no lo necesitas, verdad?”. “desde luego puedo robar otro, no es el cepillo mi problema”. “¿y cuál es problema?…

“yo bajo”… “¡Lo siento! Me gustaba hablar contigo!”… “¡Si es por esto puedes hablar con la pared!”… “¡quería hablar contigo!… “¿de qué? ¿de filosofía?”. “¡por ejemplo!”. ”¡Esta es mi vida, querida!”…¿qué haces ahora?”. “¡Tal vez coja otro tren!”. “¿otro tren?. ¿dónde te vas?”. “¡escucha tía! ¡No estoy aquí contigo para hablar de tren ni para filosofar sobre mi vida!” “ya que estamos podríamos aprovechar”. “¿nadie te ha dicho que podías callarte?. “¡Mira! Es Paula! ¡Es Paula! ¡No me lo puedo creer! ¡Tal vez haya venido para ti! “¡tal vez quiera averiguar que todavía haya una idiota que la espera sobre este puto tren!” “¿Qué le digo?”. “¡Dile que me he bajado!”. “¡No! ¡No me des esta responsabilidad!”. “¡La responsabilidad es mía!” “¡No quieres verla?”. “ya no es la persona que esperaba”. “¿puedo bajar contigo?”. “¡No querida! Tienes que irte a Nueva York”… “¡es que ahora no me importa!”. “¡mañana te va a importar!” “desde luego yo bajo sola! ¡Sola subí y sola tengo que bajar!”. “de acuerdo, me callo!”.

“¡Estás muy guapa, Paula!”… “¡no soy Paula!”… “¿no eres Paula?”… “bueno, me llamo Paula pero no te conozco”… “¡podíamos haber viajado juntas, Paula!… “¿viajado juntas? ¿hacia dónde?”… “no sé Paula, ¡no era esto lo importante!”… “si no sabes ni hacia adónde, ¿por qué teníamos que haber viajado juntas? quéé?  ¿quieres viajar conmigo?”… “¡no Paula! yo bajo!”… “¿justo ahora?”… “¡sí!”. “¡qué pena!”… “¡ya! ¡qué pena no haberte encontrado antes, y qué pena no haber viajado juntas querida!”…

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Petite.

Petite

Post n°51 pubblicato il 02 Marzo 2009 da viajera67

Subía tambaleando por la escalera de su casa, se agarraba a la barandilla, las llaves se le caián al suelo, buscaba la luz, la serradura de la puerta, entraba en su casa: “Ciao piccola, papá é tornato. Fai sogni d’oro, ci vediamo domani”.


Cuando por la mañana la piccola se despertaba se lanzaba como un razo a su cama: ”Ti preparo un caffé papà?”. “Vieni qui, piccola. Raccontami qualcosa di bello. Che fai oggi? Vai a scuola?” “Si papà, adesso ci vado” “non studiare troppo, mi raccomando.” “rimani a letto, papà. Ti porto un whiski se vuoi”

La piccola entraba en classe como una cerilla encendida hablando de política, arte y literatura. La gente se asombraba. “¿de dónde coño saca todo esto?”. “He ganado una beca, papà, voy a acabar la carrera a Paris.”. “Me parece muy bien piccola.” .

Cogía la moto, buscaba el sabor del viento sobre su cara, se iba a la playa, se tumbaba bajo el sol. Tenía todo lo que deseaba: una vida de sueño. Un sueño de vida. “no me dejes, papà” “no te dejo, piccola, estaré siempre contigo. Te lo prometo”

Hace mucho que non nos vemos, papà. ¿qué haces ahora piccola? ¿cómo te va la vida? Vivo en París, papà. Me quedé aquí después de la carrera. Trabajo como fotógrafa. Ahora estoy aprendiendo portugués. Me parece muy bien, piccola.

La quería mucho, papà. Lo sé, piccola. No hace falta que me lo digas. Toujours je me souviendrai de son sourise. Llévame un whiski, ¡anda! Vámonos a dar una vuelta que fuera hay un mundo que se nos escapa. Je t’ai cherché beoucoup dans tout le monde, papà.

Je aussi, petite. Je aussi.

 

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Salamanca.

Salamanca

Post n°53 pubblicato il 02 Marzo 2009 da viajera67

Salamanca

En Salmamanca buscaba tus pasos, tu presencia, el sabor de tu sonrisa. ¿Por dónde mirabas cuando todavía te morías por mis huesos? ¿por dónde paseabas? ¿en qué pensabas?. ¿Fotografío esta plaza? No! Me chifla más ésta! ¡ella tiene que haber paseado por aquí…! ¡tiene que haberse fumado un pitillo sobre esta escalinata! Me querías en Salamanca ¿verdad que me querías, idiota mía?. Veo un trozo de tu corazón, y un trozo del mío, por las calles de Salamanca.

“Después pasan los meses, hasta que nos encontramos una véz más por casualidad en la calle; aclamaciones festivas, carcajadas, promesas de volver a vernos, pero ni ella ni yo hacemos nunca nada para provocar un encuentro; quizás porque sabemos que ya no sería lo mismo…!”En Salamanca le bajo las bragas, la beso por la calle… ¿es tu cuerpo lo qué deseo, amore mio? la llevo a mi casa, la acaricio, le sigo comiendo. Me encanta follar con ella! Me encanta su cuerpo, y luego… ¿me llama ella?. No!. Me llamas tú! ¿nos tomamos un café en Madrid?. No, amore mio, no estoy en Madrid!. Estoy borracha. Nos hemos emborrachado alguna vez, tú y yo, en Salamanca? Hemos follado alguna vez, tú y yo, en Lisboa? Y por las calles de Madrid, te he dicho alguna vez que te quiería? Y por las de Paris?. Te sigo comiendo! Me encanta comerte aunque acabo de conocerte! Però l’amore mio mi ha insegnato a mirarte en un bar de ambiente, a bailar contigo toda la noche, a emborracharme contigo, a tocarte por la calle, a decirte que quiero hacerlo aquí y ahora. ¡Es mi cumpleaños! ¿Verdad que me has llamado por qué es mi cumpleaños, querida?.

Fotografío esta plaza, pasaste por aquí, amore mío? Me deseaste en esta esquina? Abro tus pierna, bajo a comerte. Quiero sentir el sabor de Salamanca entre mis labios, quiero sentir tu deseo en mi cuerpo!… ¿me llamaste desde esta cabina?. ¡Sus piernas me vuelven loca!, quiero entrar en tu alma, y en su cuerpo. Me mira, me sonríe,  baja a comerme. Veo sus ojos… no! ahora veo los tuyos. Me come ella, me comes tú, me vuelve loca! ¡es precioso el amanecer en Salamanca, amore mio!.. ¡tenías razón tú! Me encanta su deseo!.Veo en sus ojos las olas de tu mar. Me sige comiendo,  me chifla sentir el sabor de Salamanca entre sus piernas, entre tus piernas, y entre las mías.

Tenías razón tú: la luz de Salamanca es preciosa a esta hora de la mañana… ¿desayunamos juntas en Madrid?. Mañana vuelvo y te llamo!.¿Te llamo?. ¿Fue aquella la esquina desde donde me deseaste?. ¿Y aquella? ¿Fue aquella la cabina desde donde me llamaste?. Voy a Galicia a buscar tus huellas, voy y vuelvo. Lisboa, Salamanca, la Coruña. Vuelvo y voy,  nunca desde el mismo punto ni desde… Te quiero idiota mía.

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