Zorritos y Tumbes (II)

Zorritos y Tumbes.

Post n°2 pubblicato il 22 Febbraio 2009 da viajera67

II. Fiorina Sanguinetti, responsabile dei corsi d’italiano nelle Università, mi disse: “Se ti trovi bene a Tumbes, faremo in modo che tu ci rimanga per degli anni. Possiamo chiedere i contributi al Ministero degli Esteri.” Ma quando arrivai a Tumbes pensai: qua non ci resto neanche cinque minuti. Dopo aver costeggiato per chilometri e chilometri spiagge deserte puntellate dalle palme sotto un sole che spaccava le pietre, a circa diciotto ore di bus da Lima, arrivai nel posto più desolato dell’America Latina. Una piazza, cinque alberi, quattro turisti, e milioni di milioni di zanzare. Quaranta gradi all’ombra, persino in inverno.

Mi venne a prendere Jorge Echevarría, decano della facoltà di chimica, e mi portò in albergo. Io avrei voluto iniziare subito con i corsi di italiano, ma lì la parola chiave era: relax, relax, e ancora relax. Ogni giorno, Jorge veniva a prendermi per pranzare assieme. “Non voglio che ti senta sola”, mi diceva. In realtà lui mangiava a sbafo carne, pesce e cibi prelibati, alla faccia della Facoltà che pagava il conto.

I corsi di italiano tardarono a partire e l’università tardò ancor più a pagarmi. Riuscivo però a mantenermi con i contributi che percepivo dall’Italia. Ero sempre a metà stipendio ma sempre più ricca degli altri, come mi facevano notare quando protestavo. Decisi così di prendere in affitto una casa al mare a Zorritos, un piccolo paesino di pescatori a mezz’ora dalla città. Insegnavo solo due volte alla settimana, avevo il tempo di leggere, rilassarmi, e di godere delle bellezze del posto.

A Zorritos conobbi Ethel, una simpatica ragazza di 19 anni in procinto di sposare un pescatore quindici anni più vecchio di lei. Lavorava come cameriera da sua madre, accudiva la casa e i suoi due fratelli, il padre li aveva abbandonati per un’altra donna. Una notte, in spiaggia, le chiesi: “ma tu, lo ami quest’uomo che devi sposare?” La domanda dovette risultarle tanto strana che rimase immobile, a fissarmi.

Una settimana dopo fuggì dalla sua casa e venne da me. In un primo tempo avrei voluto riportarla da sua madre, ma lei mi disse: “non voglio sposarmi e non so come dirglielo. Quella, se lo sa, mi ammazza”. Decisi allora di farla dormire da una signora che conoscevo, in attesa che le acque si calmassero. Voleva studiare italiano, così andavamo insieme a vendere “gelatina” ai pescatori, per racimolare il necessario per l’iscrizione al corso. Fu la mia prima amica, in quella parte del mondo. Camminavamo in spiaggia, chiacchieravamo di tutto, studiavamo insieme. Lei non aveva mai letto un libro e iniziò a leggerne tanti. Adesso continua a studiare durante le ore libere, nel suo piccolo ristorantino vicino al mare, dove affitta stanze ai turisti di passaggio. Ha ancora tanti sogni chiusi in un cassetto, ed e’ contenta di non aver trovato ancora l’uomo giusto da sposare. Pare che abbia smesso di cercarlo.

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