Viaje a Quio (VI)

Viaje a Quito.

Post n°6 pubblicato il 22 Febbraio 2009 da viajera67

VI. Verso la fine di novembre del 2002, si organizzava a Quito un incontro latinoamericano di gruppi indigeni, contro l’ALCA (Area de Libre Comercio de Las América). Poco o nulla sapevo del trattato di libero commercio proposto dagli Stati Uniti e, meno ancora, di come fossero i gruppi indigeni. Ovviamente decisi di andare nella Capitale dell’Ecuador, situata a circa 2.800 metri sul livello del mare, con un centro storico meraviglioso, circondata dalle montagne. Presi un bus alla frontiera con l’Ecuador, e attraversai città e campagne piene zeppe di alberi di cocco, di “avocatos”, di banane “chiquita” e con tanto, tanto “calor”, sentii di essere approdata in Africa.

A Quito mi accolse una moltitudine di indigeni che aveva marciato per settimane, dai posti più sperduti del paese, fino a giungere alla capitale per dire NO all’ALCA, al TLC (Tratado de Libre Comercio) e all’imperialismo americano. Era la prima volta che vedevo tanta radicalità nelle piazze. In Europa avevo soprattutto visto giovani studenti che protestavano. Era difficile vedere donne di sessanta, settant’anni con queste gonne immense chiamate “polleras”, con le trecce ben fatte, con questi cappelli coloniali, con uno o due figli portati sulla spalle come se fossero dei fagotti. Era difficile, in Europa, vedere queste donne con il pugno alzato, con le idee cosi’ chiare, con questa forza di resistere e di lottare sino alle estreme conseguenze. A donne cosi’ io avrei ceduto il posto in un bus, le avrei accompagnate a raccogliere fiori, ma non avrei mai pensato di condividere con loro una “marcha de protesta”.

In quei giorni il paese sperava in un cambiamento rivoluzionario con Lucho Gutierrez, candidato alla Presidenza. Aveva promesso appoggio agli indigeni, riforme sociali e un secco NO al trattato del libero commercio. Era una nuova colonizzazione di tipo economico. I paesi europei prima, e gli Stati Uniti dopo, non avevano più bisogno di conquistare con le armi o appoggiare le dittature miliari dei paesi latino-americani. Bastava introdurre misure economiche in grado di rendere schiavi e dipendenti i paesi latino-americani. Dapprima obbligandoli a specializzarsi nella coltivazione di un solo prodotto, canna da zucchero, caffè, banana o cacao. In seguito abbassando o rialzando i tassi di interesse, per far crollare o rialzare le esportazioni. Le classi popolari rimanevano alla “merche’ “ di precari contratti di lavoro, anche quando le classi dominanti si arricchivano a dismisura. Paesi come la Bolivia e il Paraguay sarebbero stati ricchi come la Svizzera o la Germania, se le loro classi dirigenti non avessero svenduto le risorse naturali del paese. Per evitare questo, gli indigeni equatoriani, uniti a quelli della Bolivia e del Perù, marciavano verso la capitale di uno dei paesi più piccoli e affascinanti del mondo.

L’altro candidato alla presidenza era Noboa, latifondista di Guayaquil, produttore a livello mondiale di banane, e uno degli uomini più ricchi del mondo. Lui si che proponeva accordi economici con gli Stati Uniti, e l’introduzione di modello neo-liberale nella vita sociale del paese. Educazione per pochi, e di qualità. La gente non lo voleva, ma aveva un’influenza grandissima, nel paese. Proprietario di vari canali televisivi, era sempre “tra la folla”, spacciando il suo populismo da quattro soldi per democrazia allo stato brado.

La campagna elettorale era violentissima, e tutto mi sarei aspettata eccetto che la polizia caricasse in maniera cosi violenta le donne indigene. Dopo la prima carica c’erano bambini che vomitavano, e uomini che gridavano. Io come sempre avevo una paura folle. Dopo la manifestazione di Genova del 2001, non sopporto più cariche con lacrimogeni e uomini in divisa.

Fu in quei giorni che conobbi Anna, una simpatica architetta che aveva studiato a Parigi. Condividemmo un sacco di cose durante le nostre passeggiate a Quito, l’amore per la libertà e per la letteratura. Passavamo ore a leggere le poesie di Fernando Pessoa e di Mario Benedetti, o i romanzi di Bryce Echenique e di Varga Llosa. Ci perdevamo nel museo Quayasamil della città parlando di Manuelita Saenz, l’amante guerrigliera di Simon Bolivar, e di Camillo Torres, della teoria della liberazione colombiana.

Finalmente vinse le elezioni Lucho Gutierrez. Per la prima volta, nella storia della repubblica ecuatoriana, uomini e donne indigene, furono nominate ministri ed entrarono in Parlamento. Anna ed io festeggiammo insieme nelle piazze della capitale. Sconfiggere Noboa era stato un miracolo, ma ci eravamo riusciti.

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