Viaje a Cuzco (VIII)

Viaje a Cuzco

Post n°8 pubblicato il 22 Febbraio 2009 da viajera67

VIII. Mentre nell’università di Tumbes la parola chiave era: relax, relax e ancora relax; in quella di Cusco fu: lavoro, lavoro, e ancora lavoro. Mi avevano detto che la responsabile dei corsi di italiano era soprannominata: “la negriera”, ma non volevo prestare attenzione alle maldicenze. Arrivai al suo ufficio e mi accolse cordialmente. Mi spiego’ che nel centro di lingue dell’università S. Antonio Abad di Cusco, c’erano circa 4.000 alunni che studiavano italiano, inglese, francese e checua. La seconda lingua, dopo l’inglese, era l’italiano. Lei si aspettava grandi cose da me, tanto per iniziare avrei dovuto esaminare i miei colleghi e presentarle una relazione sulle loro conoscenze tecniche e capacita’ didattiche.

Mi si raggelò il sangue, ma decisi di non tirarmi indietro. Mi presentarono subito Carolina, una collega peruviana che aveva vissuto cinque anni in Italia, e che insegnava li da anni. Mi guardo’ terrorizzata e mi sembrava che le tremasse persino una mano. Le proposi un caffè in un bar, per chiacchierare sui corsi che avremmo dovuto tenere assieme. Tanto per iniziare ero davvero felice di avere un’amica a Cusco, ero appena arrivata ed avevo tanta voglia di passeggiare, persino sotto la pioggia.

Parlammo del più e del meno, e Carolina inizio’ a rilassarsi. Dopo un po’ le dissi: senti, ma come funzionano le cose da queste parti?? A me hanno dato un sacco di lavoro, ogni giorno ho più’ di duecento alunni a lezione. Mi hanno persino detto che devo controllare il vostro lavoro. Mi sembra assurdo: tu cosa mi consigli?? “sapevo che eri una brava persona”, mi disse lei. Se vuoi ci mettiamo d’accordo e ci dividiamo il lavoro ed i compiti da fare.

Lavorammo assieme con molto entusiasmo per più di un anno. Legai anche con altri colleghi, ma Carolina fu davvero speciale. Non ci nascondevamo nulla e commentavamo assieme quello che ci succedeva, dalle cose più insignificanti a quelle più gravi. Ridevamo un sacco perché in quell’università si lavorava davvero come scannati. Ti facevano recuperare tutto: dai giorni in cui c’era sciopero dei bus, e gli alunni non venivano, a quando vinceva la squadra locale e le università chiudevano, a quando c’erano scosse di terremoto e la gente scappava.

Poiché avevo un contratto con l’Ambasciata, potevo permettermi delle libertà che cercai di usare per migliorare anche la qualità di vita dei miei colleghi. Un giorno entrai nella sala dei professori e lessi una comunicazione che ci imponeva di recuperare persino i giorni delle festività pasquali, lavorando il sabato e la domenica successivi. E no, eh! Questo era troppo! Entrai nell’ufficio della negriera e le dissi che come donna profondamente cattolica (che non ero), non potevo ne’ lavorare, ne’ recuperare i giorni di pasqua.

I colleghi non sapevano se ridere o piangere. Le dissi che avrei mandato una lettera di protesta all’ambasciata italiana o al vescovo della città. Pregai la negriera di ritornare sui suoi passi, altrimenti avrei sollevato una protesta.

Il giorno dopo uscì un nuovo comunicato. Avevamo tutti quattro giorni liberi non recuperabili. Festeggiammo a più non posso, ed io partii per la Bolivia, a visitare uno dei paesi più poveri e affascinanti del mondo.

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