Caro compagno (prima parte).

Milano, marzo 1997.

CARO COMPAGNO, MA QUANDO MI PARLI…?…RIFLESSIONI SULLA CONDIZIONE DELLA DONNA ALL’INTERNO DELL’AREA DEI CENTRI SOCIALI E DELLE REALTA’ ANTAGONISTE.

Tante donne frequentano i centri sociali: di giorno, di notte, d’estate, d’inverno, col sole e con la pioggia. Piccole e grasse, belle e brutte, bionde e brune, le donne che invadono gli spazi collettivi portano un po’ di colore, di allegria e di serenità all’interno di luoghi non sempre caratterizzati da vero antagonismo politico, sociale o culturale.

Rincorse dai fotografi e giornalisti durante cortei e presidi, rappresentano l’immagine di un movimento che pochi conoscono, e che tanti desiderano riprodurre, almeno in cartolina. Seguono attente assemblee, dibattiti e conferenze perché desiderano informarsi e capire cose che la cultura ufficiale stenta a comunicare… Nei centri sociali si dovrebbe sviluppare un sapere alternativo, critico e non funzionale al sistema, che dovrebbe rivoluzionare tutto, ma proprio tutto, il nostro agire ed il nostro essere.

Le donne cercano risposte alle loro domande, ai loro interrogativi, ai loro problemi quotidiani. Vivono, come gli altri, in una società capitalista, basata sullo sfruttamento delle classi sociali. Ma la contraddizione economica, di marxiana memoria, non é l’unica che si percepisce all’interno della società nella quale si vive. Il potere, non é soltanto quello dei grandi potentati economici, finanziari o militari. Esso si manifesta anche all’interno di una cultura falsamente efficientista, difficile da rimuovere o da rinnegare… E’ rappresentato da un ipotetico uomo bianco, ricco, forte, sicuro di sè, eterosessuale, possibilmente poligamo, e colto.

Questo non é un modello riprodotto soltanto nelle immagini pubblicitarie o nelle sfilate d’alta moda, ma appartiene ad un vissuto collettivo comune a tutti noi. Invade le nostre menti, condiziona i nostri comportamenti ed assorbe le nostre energie più vive e pulsionali.

All’interno dell’area della sinistra antagonista e dei centri sociali, tante cose, per fortuna, vengono ancora messe in discussione da tanti compagni e tante compagne interessate/i a migliorare l’esistente. Ma tante altre, purtroppo, non vengono sufficientemente analizzate e messe in discussione. Interesse della mia analisi é quello di evidenziare in che modo alcuni atteggiamenti e comportamenti maschili (dei compagni), possano in maniera più o meno diretta, causare una certa inibizione, sia fisica che mentale, delle donne (delle compagne), che frequentano i centri sociali.

Il compito ovviamente non é dei più facili, perché ognuno di noi ha una sua storia da raccontare, a prescindere dal suo sesso di appartenenza. Partiamo dall’analizzare l’atteggiamento dei compagni all’interno dell’area dei centri sociali e, per un momento, lo contrapponiamo a quello delle compagne. Arbitrariamente evidenziamo i difetti degli uni, ed i pregi delle altre, anche se questa mia impostazione potrebbe apparire così poco imparziale ed “obiettiva”. Ma vorremmo partire da noi, dai nostri bisogni, dalle nostre esigenze quotidiane, e descrivervi le nostre tensioni, emozioni ed aspirazioni di sempre. Lo so che la comunicazione non sarà facile, dopo secoli di silenzio; ma vorremmo almeno provare a parlarvi del nostro vissuto, costi quel che costi. E se ancora non avete stracciato questo scritto, allora coraggio, che il bello deve ancora arrivare…

La maggior parte del maschi “liberati” che frequentano i centri sociali, ascoltano musica di tendenza, si colorano i capelli, ed alzano il pugno ad ogni festa comandata, difficilmente hanno elaborato un’analisi complessiva della società nella quale vivono, e che riproduce modelli di comportamento funzionali al sistema. La maggior parte di loro crede comunque di essere più intelligente di qualsiasi donna con la quale si rapporta, e più virile di qualsiasi omosessuale gli capiti a tiro.

Nonostante la loro presunta apertura mentale e la loro patetica tensione emotiva impiegata ad analizzare le dinamiche che producono le discriminazioni contro le donne, stentano davvero a posare il microfono nelle assemblee pubbliche ed a coinvolgere direttamente le compagne nelle azioni politiche… Poi magari ci escono insieme la sera a mangiare una pizza, o a fare due passi in giro per la città, ma questa é un’altra storia, come tutti possono ben immaginare..

Gli uomini si ricordano di essere prigionieri di una cultura patriarcale ed omofoba solo quando il “dovere” li chiama a difendere la patria, ad indossare una divisa, a maneggiare un fucile, e ad obbedire ad ogni stupido comando venga loro impartito. Ma tornati a casa sembra loro “naturale” che mamme, sorelle, compagne ed amiche si prendano cura di loro, poveri fanciulli innocenti, e li accudiscano preparandogli la cena e ricoprendoli di attenzioni.

E se per caso un fratello, compagno, amico o figlio finisce per diventare un detenuto politico, sa per certo che nessuna delle “sue” donne lo abbandonerà mai… Farà tutti i sacrifici possibili ed immaginabili per non saltare nessun colloquio, per trasmettergli un po’ di serenità, per preparare da casa quel buon cibo che tanto potrebbe mancargli in carcere… Anche quando andarlo a trovare significa subire umilianti perquisizioni vaginali ed anali, insulti di ogni genere e sacrifici immani… Le donne sono sempre lì, non si arrendono dinanzi a tali difficoltà… Alcuni compagni, apprezzando così tanto il valore “politico” di queste azioni, ci hanno scritto pure dei libri sopra; dimenticandosi di riservare due parole al fatto che la maggior parte dei detenuti era di sesso maschile (forse, chissà, anche la politica era vissuta al maschile?), e che appena i compagni “finivano nei guai” divenivano “inspiegabilmente” orfani di padre…, chissà per quale strano motivo…

Ma allora, cari compagni, se considerate davvero così tanto “rivoluzionario” preparare pacchi da casa, se apprezzate così tanto le donne che lo fanno e che si sacrificano per i loro “uomini”, allora perché non vi mettere anche voi, qualche volta, dietro ai fornelli, in mezzo alle pentole a preparare una buona cena e qualche bel pacco alimentare a qualche compagno finito dentro? Perché non dimostrate la vostra solidarietà e disponibilità umana ai detenuti politici (e non solo!) in una maniera più diretta e genuina?

Credete di tenerci buone dedicandoci un libro sul nostro coraggio, la nostra forza, la nostra determinazione politica? Noi queste cose le sappiamo già, perché noi donne, la politica, la viviamo ogni giorno. La viviamo nelle case, nelle fabbriche, nelle città. La viviamo con la testa, col corpo e con la mente. E non soltanto quando facciamo assistenza domiciliare ai detenuti politici, quando ciclostiliamo volantini, o quando scendiamo nelle piazze a rivendicare i nostri diritti. La facciamo nel nostro privato, lontano dagli organi di stampa, lontano dalle scadenze programmate e dalle feste comandate… E voi, allora, perché non vi spostate qualche volta dai riflettori, posate il megafono e vi rapportate senza stupide gerarchie a tutti coloro che vi stanno intorno? La rivoluzione non la si fa soltanto con le assemblee, i volantini, e le conferenze stampa. Non la si fa abbandonando le compagne nelle carceri, e neppure urlando quattro slogan a pugno chiuso nei cortei. La si fa ogni giorno, nel silenzio quotidiano, cambiando radicalmente e profondamente la propria mentalità, la propria cultura, le proprie inclinazioni e pulsioni più intime…

La gerarchica cultura maschilista e patriarcale nella quale viviamo rafforza il potere del capo famiglia e del capo tribù, almeno all’interno di un immaginario collettivo. La pericolosa legittimazione di alcune istituzioni sociali che ci riportano indietro in una cultura fascista ed autoritaria sta purtroppo tornando di moda, ed ha rinvigorito le fila di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e dei vari partiti conservatori, come tutti ben sanno. Tutto purché ci sia un pastore che guidi questo variopinto e disperato gregge di pecore disperso tra la campagna.

Anche questo é lo specchio di una cultura patriarcale e falsamente efficientista, nella quale le persone comuni e le donne contano sempre di meno, ed i potentati economici ed il potere costituito, sempre di più.

Ma accanto a queste sporche manipolazioni ideologiche, “singolari” per uno stato che ancora oggi si definisce libero e democratico, ce ne sono altre che coinvolgono gli aspetti più intimi e personali degli individui…. I continui attacchi alla legge sull’aborto; gli incentivi economici affinché le donne abbandonino i posti di lavoro e tornino a casa ad accudire figli ed anziani; gli sproloqui contro gay, lesbiche, bisex e quant’altro da parte della Chiesa cattolica e dei partiti conservatori e reazionari; le molestie e le violenze sessuali contro le donne che dopo secoli di oscurantismo bigotto finalmente le si considera reati contro la persona, e non più contro la “pubblica” morale , ecc…

Di tutte queste tematiche ai cari compagni che vanno in giro con Kefia e spillette varie sembra non importi proprio nulla, o almeno così pare. I temi forti rimangono sempre quelli della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario e della critica alla politica parlamentare. Eppure le donne, le compagne, prendono sempre di meno la parola nelle assemblee pubbliche, seguono sempre più raramente i dibattiti politici, e si sentono sempre meno rappresentate e coinvolte all’interno dei centri sociali e delle varie realtà di movimento.

Ma questo appare un problema secondario per tanti compagni i quali rispondono che probabilmente alle donne non interessa più di tanto il dibattito politico perché, se volessero davvero avere un ruolo attivo nel movimento, avrebbero spazio a sufficienza per esprimersi. Il microfono é là, l’assemblea é qua, tutti si aspettano che qualcosa debba succedere e che cambi gli schieramenti in campo. Ma nessuno sa bene chi si dovrebbe muovere, cosa dovrebbe dire, e per fare che cosa… Così i problemi appaiono all’orizzonte solo a chi se li vive in prima persona e ne subisce direttamente le conseguenze.

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