Clitoristrix dieci anni dopo…

Clitoristrix dieci anni dopo…. 

Lima, dicembre 2008. Qualcosa sulla nostra storia.

Negli anni novanta la stampa ci definiva la generazione del “post”: post-68, post-77, post-femminismo. Per noi che non avevamo vissuto praticamente nulla sulla nostra pelle, c’era un bisogno impellente di far qualcosa, anche di sbagliato, ma qualcosa di nostro. E fu qui che ci aiuto’ il ministro Ruberti, quando volle privatizzare scuole e universita’. Ritornava, in Italia, l’idea delle vecchie caste indu’ che Gandi aveva abolito con il movimento di liberazione nazionale.

Ma i ragazzi di Palermo dissero di no: volevano fermare il tempo, capire dove ci avrebbe portato quella riforma dell’educazione finalizzata al mercato; avevamo bisogno di romprere gli orologi, studiare antropologia, latino e scienza della comunicazione. E cosi inizio’ a muoversi quel meraviglioso felino chiamato pantera. Ci sorprese il suo colore nero-nero, ma poi divenne rosa, viola, azzurro, rosso, celeste, e di mille altri colori. Oi-oi-oi, la pantera siamo noi… eravamo i quadrupedi che lottavano per la riforma educativa.

Furono anni meravigliosi per chi uccupo’ strade, letti e citta’. Piazza Verdi, a Bologna, era il centro di smistamento delle varie realta’ sociali. La mensa si era trasformata in centro sociale; il “piccolo” era l’esotico bar dell’angolo; la caffetteria del 25, il centro di dibattito e distribuzione di volantini; le varie facolta’, tra cui lettere e filosofia, luoghi di incontro e di piacere. E, quando il movimento stava rientrando nella normalita’, un po’ per noia, un po’ per caduta libera, un grupo di compagni decise di occupare una biblioteca in via Zamboni. E sorse il mitico 36.

Si studiava, si fumava, si pulivano i cessi, si pomiciava, ci si riuniva. Nacque una nuova forma di impegno politico, la nostra meta era “creare e organizzare”il 36, simbolo di oasi, e metafora del mondo intero. Era una grande sfida: condividere la nostra esperienza con persone non particolarmente impegnate, oscillanti come il vento. Una convivenza dura, piacevole, e complicata. Ma pensavamo che il gioco valesse la candela.

Avevamo un posto nostro da auto-gestire, la nostra meta finale era creare un mondo libero, ma noi: eravamo liberi davvero?? Sui muri dei cessi iniziavano a comparire le varie scritte sessiste; i cazzi non mancavano mai (di profilo, di traverso, perpendicolari, obliqui); e i numeri di telefono di quella zokkolen che “gliela dava un po’ a tutti” eccetto al pinco-pallino di turno. Va be’. E un giorno un altro deficiente propose una legge per legittimare la violenza alle donne perche’, come era proibito proibire, non si potevano censurare neanche le cavolate. E quando si proponevano dibattiti sul movimento gay, allora i compagni mormovano come il Piave: ne’ coi fascisti ne’ coi froci. Duri e puri fino alla morte… ma che morte, poi?

E un giorno, mentre andavo a studiare al 36, lessi una scritta sul muro: riunione del collettivo femminista. Mi fermai a pensare: collettivo femministaaaaa???? Avevo pomeriggio libero, per cui decisi di varcare la soglia, entrai nell’aula e mi sedetti in un angolo ad osservare. Vidi una tal Franca che scriveva un volantino, Carla che cercava una canna, l’imbranata di Francesca che si aggiustava il reggiseno, la mitica Venere che gridava in turco, e la trasgressiva Vittoria che proclamava l’amore libero. Fui intrappolata da tanta varieta’, e decisi di entrare a far parte della band.

Molte di noi venivamo dalla politica mista e, anche se la criticavamo, ne avevamo assimilato i contenuti e le metodologie. Altre non avevano un percorso politico definito, erano piu’ fresche, piu’ ingenue ma anche piu’ vulnerabili. C’era chi stava con le donne, chi stava con gli uomini, chi stava con tutt’e due, e c’era pure chi stava da sola. Il gruppo che creo’ il collettivo femminista, chiamato in seguito Lilith-luna nera, veniva dall’esperienza rifondarola. Erano fanciulle molto meticolose, forse troppo tecniche e “gelide” per i nostri gusti, ma ci insegnarono un sacco di cose. .

I compagni con i quali lottavamo gomito a gomito, iniziarono subito a dare i primi segni di squilibrio. Dai sorrisetti, alle frasi mozzate, si arrivo’ agli attacchi verbali e agli insulti; poi iniziarono a riempire il nostro centro di preservativi, assorbenti e immagini porno. Erano come dei cani impazziti che pisciavano per riconquistare il loro territorio perduto.

E dopo gli attacchi dei maschi, vennero quelli ancora piu’ terribili delle altre donne: le femministe storiche, le dure e pure, quelle che si spezzano ma non si piegano. Loro avevano vissuto praticamente tutto, dall’auto-coscienza all’auto-censura, quando noi eravamo ancora in fasce. Venne in mente proprio a me di chiedere loro un contributo per il nostro collettivo. volevamo sapere cos’era il separatismo? Che andassimo in biblioteca a consultare le sacre scritture!! Volvevamo un consiglio su come continuare col gruppo? Non ce n’era bisogno: saremmo morte in un batter di ciglia. Codesta spocchia mi sconvolse l’anima e chiesi consiglio alle amiche rifondarole: “qui si va avanti, mi dissero, costi quel che costi”. Fu la spinta necessaria per il gruppo. Benedette donne, chissa’ dove saranno ora.

E il collettivo inizio’ a crescere, e ad espandersi a macchia d’olio. Non credo che fosse tutto merito nostro, ci trovammo in una congiuntura favorevole. Tanto che le femministe dure e pure, quelle di cui sopra, iniziarono a scendere a valle munite di canna. Appena veniva fuori una donna preparata, loro la circondavano, la imbalsamavano e…zack… con l’esca, cercavano di portarla al loro affascinante gruppo. Qualcuna cadde nella trappola, qualcun’altra oscillo’ sino a perdere i sensi, qualche mosca bianca ebbe persino il coraggio di dire di no a quel corteggiamento mozza-fiato.

E noi crescevamo e crescevamo, e non sapevamo piu’ come fare per stare tutte assieme. Parlava Angelica, rispondeva Sandra, sintetizzava Alessandra, interpretava Giulia, protestava Simona…. stavamo diventando una torre di babele per cui ci dividemmo in sotto-gruppi e cercammo un capo o, per meglio dire, una capa. Ma eravamo un gruppo anarco-comunista, e le rifondarole furono costrette ad andar via prima che la purga radikal-shick le travolgesse come un tsunami.

Ma prima che tutto cio’avvenisse, sentimmo la necessita’ di cambiare noi stesse, prima di cambiare il mondo. Fu una sensazione oserei dire orgasmica, che ci duro’ anni. Un’idea di trasparenza e di coesione, di coraggio e di rottura sociale. Come spiegare?? Iniziammo ad essere importanti le une per le altre, a dirci le cose in faccia, ad affrontare le differenze, a correggere i nostri difetti, a cercare di scrivere un volantino, organizzare un’assemblea, controllare il servizio d’ordine.

La nostra era una comunicazione trasversale, diventammo radicali col tempo. All’inizio ci fu bisogno di molta pazienza, anche se non mancarono mai, persino tra di noi, le dinamiche di potere. C’era chi si occupava dell’organizzazione del gruppo, chi preferiva l’autocoscienza e chi pensava al te’ con biscotti, da prendere la domenica, con un gruppo di amiche. In ogni caso tutte noi ampliammo la nostra capacita’ d’amare e di criticare, sino a quando le nostre strade si divisero.

Accadde tutto all’improvviso. Io andai a Barcellona a finire la mia tesi, le rifondarole ritornarono in Svizzera, ci fu un cambio generazionale ed emersero nuove esigenze di lotta. La nostra vecchia maniera di far politica risulto’ obsoleta. Sul lettino psicanalitico non stendemmo piu’ solo il nostro corpo, ma ispezionammo il nostro principale strumento di piacere: la clitoride. Nominarla fu come darle nuova vita, e le bakkettone di cui sopra, compresa la sottoscritta, dovettero fare un passo indietro per dar spazio alle giovani leve.

In tutti questi anni ho sempre seguito le vicende del gruppo, adesso chiamato Clitoristrix. Quando ne parlo con le compagne cilene o uruguaiane, sono costretta a ripeterglielo cinque volte: CLI-TO-RIS-TRIX. Comeeee??? Nooooooo, non clitostrix!!! Madonna, che fatica! Chi avrebbe mai pensato che dieci anni dopo saremmo stante ancora qui insieme, a parlare di noi??

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